IL MONACO DIVENTATO PAPA
Gregorio VII: il monaco di Cluny che, eletto Papa, porta al cuore della Chiesa l’opera di riforma intrapresa dal suo ordine e afferma l’autorità papale sull’imperatore Enrico IV, da lui scomunicato, costringendolo all’umiliazione di Canossa. Il quadro della Chiesa che Papa Gregorio si trova davanti è desolante: la simonia – ovvero la compravendita di cariche ecclesiastiche – è universalmente diffusa; vescovi e abati hanno i loro eserciti personali, che mettono al servizio di questo o di quel potente, a seconda delle convenienze; prelati deposti o scomunicati continuano tranquillamente a esercitare le proprie cariche, non curandosi degli anatemi papali. In questo contesto, Gregorio si appella a una dottrina antica – tutti i suoi documenti sono pieni di riferimenti ai Padri e alle autorità riconosciute – ma prima di lui mai applicata con tanta determinazione: l’assoluta autorità del Pontefice su ogni cristiano, ecclesiastico o laico. Al tempo stesso, il Papa è pragmatico: dovunque può cerca alleati, accordi, compromessi. Ma non è sufficiente: alla fine, dopo essere stato assediato a Roma da Enrico IV e dopo che la città eterna è stata messa a ferro e fuoco dal suo stesso liberatore, il re normanno Roberto il Guiscardo, Gregorio muore in esilio. Sulla sua tomba, nella cattederale di Salerno, da lui consacrata nel giugno del 1084, sono state riportate le sue ultime parole “Ho amato la giustizia e ho odiato l’iniquità: perciò muoio in esilio”.
Non possiamo neanche dimenticare quanto, all’epoca di Gregorio VII e con lui, la cultura e la fede cristiana aveva raggiunto praticamente il suo apice fino al nord Europa, con monasteri, conventi e abbazie, università, ospedali, ecc…
Senza Gregorio VII, non si sarebbe arrivati alla fondazione della Chiesa moderna la cui spina dorsale, paradossalmente, è l’eredità di un Papa sconfitto.