SOVANA E PITIGLIANO
itinerario classico -1 giorno

PROPOSTA DI PROGRAMMA
da personalizzare

La proposta prevede un itinerario costruito appositamente in una successione di tappe che seguono lo sviluppo cronologico della civiltà e della cultura locale (bassa Toscana e alto Lazio), partendo dagli Etruschi, poi Romani, proseguendo verso il Medioevo, l’Umanesimo e il Rinascimento. Si tratta quindi di un percorso in situ, che attraverso un’esperienza visiva e graduale, può far immergere dentro il vivo grembo della storia e della cultura, che hanno dato carattere indelebile alle comunità locali. Si tratta altresì di un’esperienza accattivante, soprattutto nella visita della necropoli monumentale etrusca, tutta all’aperto, nella visita dell’imponente e misterioso Palazzo Orsini con le sue sale sontuose e con le sue leggende, nella visita dei sotterranei e cunicoli del “Ghetto” completamente scavati nel tufo sotto Pitigliano.

Sono possibili su richiesta preventivi per viaggi individuali o varianti al presente programma per i gruppi.

Mattina – Sovana (tempo di visita: 3 ore e 30 circa)

Prima sede conosciuta della Diocesi (sec. V-VI)e luogo nativo di Ildebrando da Sovana – Papa Gregorio VII. Il paese è un antico borgo medievale rimasto pressoché intatto. Si propone:

– Visita di parte della necropoli monumentale etrusca: Tomba Ildebranda, Tomba dei Demoni alati, Tomba Pola, Via Cava
– Antica Cattedrale romanica (sec. X-XII)
– Borgo antico e chiesa di Santa Maria (con ciborio a tempio, sec. X)
– Possibilità di visitare il Museo civico di San Mamiliano (dove è custodito il “Tesoretto”, oltre 450 monete d’oro di epoca romana, rinvenute durante gli scavi archeologici all’interno della ex chiesa di San Mamiliano nella piazza principale di Sovana)

Pranzo: a Pitigliano presso ristorante tipico

Pomeriggio – Pitigliano (tempo di visita: 3 ore e 30 circa)

Si propone un itinerario che parte dal Palazzo Orsini con maestose sale e affreschi quattro-cinquecenteschi e sede del Museo diocesano (Sala dello Zodiaco, Sala dei pittori locali, Sala di Niccolò III Orsini, Sala delle torture, Cassero, Sala di Jacopo della Quercia, ecc).
La visita prosegue con la visita del “Ghetto”, della sinagoga e degli ambienti ipogei della comunità ebraica, fortemente presente a Pitigliano dal 1500 all’immediato dopoguerra:

– Museo di Palazzo Orsini (20 sale, accesso disabili, guida per gruppi oltre 15 persone inclusa su richiesta; chiuso il lunedì e dal 7 gennaio al 15 marzo)
– La Piccola Gerusalemme. Sinagoga, Museo ebraico e Quartiere ebraico (chiusa il sabato)

 COSTO PER PERSONA PERSONALIZZATO

CONTATTI E PRENOTAZIONI

QUALCHE NOTIZIA SUI LUOGHI PROPOSTI

SOVANA ETRUSCA E ROMANA

Sulle colline a nord del torrente Calesine, si trova la parte più grandiosa della Necropoli sovanese. Orientata a mezzogiorno, l’area della Necropoli si estende per circa un chilometro e mezzo e presenta una fila quasi ininterrotta di tombe a dado e a semidado. Tra queste spiccano alcune monumentali tombe a fronte colonnata e a edicola con frontone decorato: tomba Pola e tomba dei Demoni alati; tomba Ildebranda; tomba del Tifone. La necropoli è percorsa dalle Vie Cave, facilmente raggiungibili dalla strada provinciale che collega Sovana a San Martino sul Fiora.

Il Cavone

Si tratta di un percorso scavato nella roccia di tufo in epoca etrusca. La via, periodicamente livellata fino agli anni 30 del secolo scorso, è attualmente percorribile per alcune centinaia di metri dal torrente Picciolana al Pianetto di Sovana. Questa via cava è sicuramente tra le più suggestive della zona sia per le sue dimensioni ciclopiche (sicuramente era la strada più importante) ma anche per le numerose varietà di felci, muschi e licheni oltre a numerose piante di alto fusto cresciute nella parte alta del percorso e qui particolarmente rigogliose per la presenza di un clima fresco e umido.
Nel 1912, in prossimità dell’imbocco del sentiero, fu scoperta una stipe (altare con favissa) contenente teste, statuette ed ex voto anatomici fittili e in bronzo donati alle divinità in segno di devozione.
A circa metà del Cavone, oltrepassata una nicchia di età medievale che conteneva un’immagine sacra per proteggere i viandanti (uno dei cosiddetti “Scacciadiavoli”), è visibile l’iscrizione etrusca vertna che indica un gentilizio (cognome) e una singolare incisione a forma di svastica generalmente interpretata come una rappresentazione stilizzata del sole.

La Tomba dei Demoni alati

Tra il 2004 e il 2005 è stata condotta una campagna di scavi nella Necropoli di Sovana per il monitoraggio.
L’indagine, effettuata dalla Soprintendenza ai Beni archeologici della Toscana in collaborazione con il Dipartimento di Scienze dell’Antichità dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, ha individuato a cinquanta metri a ovest dalla tomba Ildebranda, una tomba a edicola poi denominata “Tomba dei Demoni alati”.
Mentre la camera funeraria è stata depredata in antico, lo scavo dell’area in prossimità del monumento ha portato alla luce grandi blocchi di tufo con una decorazione scultorea ben conservata e di notevole livello qualitativo.
Al centro di una terrazza larga circa otto metri, la tomba si presenta come un grandioso blocco cubico ricavato nel tufo, sulla fronte è scavata la facciata di un edificio ad edicola con un profondo vano centrale. All’interno di questa nicchia è scolpita nel tufo la statua di un defunto in posizione semi sdraiata sul letto funebre a banchetto che tiene nella mano destra la patera (coppa) della libagione e che conserva inalterato il rivestimento policromo.
Ai due lati, sempre nella grande nicchia centrale si ergevano due statue realizzate quasi a tutto tondo, rappresentanti due demoni alati femminili. Di queste si conserva ancora quella di sinistra che è rappresentata con una fiaccola ed è identificabile con Vanth (il demone molto probabilmente, per la presenza della fiaccola, aveva il compito di illuminare il percorso che doveva compiere il defunto per raggiungere il mondo dei morti).
Sul frontone ad alto rilievo campeggia poi un imponente demone marino, alato e con due code pisciformi, identificabile con Scilla o Tritone.
In posizione simmetrica, nella platea davanti alla facciata, erano due sculture a tutto tondo poste su alti podi, di cui è ben conservata quella di sinistra, raffigurante un leone. La tomba è databile alla seconda metà del III secolo a.C.

La Tomba Pola

Questa tomba del tipo a tempio era caratterizzata da otto colonne rastremate poste su un alto podio delle quali rimane soltanto una. Della decorazione architettonica rimane soltanto una parte del soffitto a lacunari. In posizione simmetrica rispetto alla facciata un lungo e profondo dromos conduce alla grande camera di sepoltura con banchina continua alle pareti (purtroppo già violata e saccheggiata in antico). La struttura databile al III sec. a.C. ha subito nel tempo un notevole degrado a causa, in questo punto, della maggiore fragilità del tufo. Per questo nel 2005 la Soprintendenza ai Beni Archeologici della Toscana ha eseguito un intervento sull’unica colonna rimasta dotandola di una fasciatura e di un sostegno.

La Tomba Ildebranda

La più famosa delle tombe etrusche di Sovana deve il suo nome al più illustre cittadino in età medievale: Ildebrando di Sovana che divenne Papa Gregorio VII. È questa la più monumentale delle tombe sovanesi, essendo stata realizzata ad imitazione di un vero e proprio tempio colonnato di tipo etrusco italico, caratterizzato da un alto podio modanato e accessibile mediante due scale laterali. Dobbiamo immaginare una struttura eccezionalmente ricca di decorazioni plastiche e vivacemente policroma. Il monumento è caratterizzato da dodici colonne scanalate e rastremate poste su alte basi modanate delle quali sei frontali e tre ai due lati. Queste colonne sostenevano il soffitto a lacunari dell’ambulacro (finta cella) ed erano sormontate da un fregio a rilievo decorato con una serie di grifi affrontati alternati a rosette e trattenuti per le code da una figura femminile.
I capitelli erano decorati con protomi umane maschili e femminili incorniciati da foglie d’acanto. Il monumento era coronato da un grande cippo di tufo.
Di fronte alla struttura, un lungo dromos conduce il visitatore alla camera funeraria che si trova sotto il monumento. La camera, a pianta cruciforme con soffitto displuviato, presenta un unica banchina di deposizione che in origine era probabilmente occupata da un sarcofago ligneo.
Attraverso un corridoio posto ortogonalmente al dromos dell’Ildebranda si raggiunge un altra camera funeraria con pianta a cruciforme e banconi di deposizione su tutti i lati particolarmente interessante per la decorazione del soffitto a cassettoni. La camera doveva appartenere ad un altro monumento non più visibile.

SOVANA MEDIEVALE

Sovana, suggestivo borgo dall’atmosfera ferma nel tempo, rappresenta un raro gioiello di urbanistica medievale.
Dal VII al III secolo a.C. fu un fiorente centro etrusco; di questo periodo è l’importante Necropoli Etrusca con le sua tombe “regine”: la Tomba Ildebranda a forma di tempio greco e la Tomba dei Demoni Alati di recente scoperta e restauro. Fu poi importante città in epoca romana, tanto è vero che nei primi secoli del Cristianesimo divenne sede vescovile. Fu conquistata dai Longobardi (594), e divenne dominio degli Aldobrandeschi il cui Ducato arrivò a comprendere l’intera provincia di Grosseto. Passata poi alla Famiglia Orsini per successione ereditaria fu saccheggiata e devastata dai Senesi nel 1410. A lungo da storici e viaggiatori è stata identificata con “la città di Geremia”.
Dalla Rocca Aldobrandesca, percorrendo un selciato in cotto a spina di pesce, si arriva fino alla Cattedrale di San Pietro, e racchiusa così tra i simboli dei poteri che l’hanno governata, Sovana conserva ancora il suo antico incanto e splendore. Nella Piazza del Pretorio si può ammirare il Palazzo omonimo, la Loggia del Capitano, il Palazzo dell’Archivio, nonché la Chiesa di Santa Maria e il seicentesco Palazzo Bourbon del Monte, in parte addossato all’antica Chiesa di San Mamiliano e, proseguendo per via del Duomo, sulla sinistra, si trova la casa natale del personaggio più illustre di Sovana, Ildebrando divenuto poi Papa con il nome di Gregorio VII.

PITIGLIANO
www.comune.pitigliano.gr.it

Pitigliano è situato a 313 metri sul livello del mare su un promontorio tufaceo di suggestiva bellezza, delimitato da valli verdissime percorse dai fiumi Lente e Meleta.
La leggenda vuole che sia stata fondata da due giovani: Petilio e Celiano.
Petilio era della gens Petilia, una importante famiglia etrusco romana, mentre Celiano appartieneva alla famiglia etrusca dei Celes Vibenna.
Petilio e Celiano non trovarono nulla di meglio che rubare la corona d’oro dal tempio di Giove Stator a Roma e portarla fin sulla rupe di Pitigliano dove, ammaliati dalla bellezza del posto, vi rimasero e fondarono la città. Secondo un’antica leggenda, la fondazione della città sarebbe dovuta a due romani: Petilio e Celiano; dalla fusione dei loro nomi sarebbe derivato Pitigliano.

2300-1000 a.C., è documentato un villaggio dell’età del bronzo, ma la rupe di Pitigliano, come tutta la valle del fiume Fiora, fu frequentata sin dal Neolitico (VI millennio a.C.) e poi nell’età del rame.
VIII sec. a.C., l’insediamento etrusco, dovuto alla vicina città di Veio, raggiunge l’apogeo nel VI sec., sostituendo il vicino centro di Poggio Buco posto sulla Fiora, che ha restituito necropoli e resti di un tempio; intorno al 500 a.C. è probabilmente distrutto da Porsenna, re di Chiusi.
I sec. a.C.-II d.C., la presenza romana, con fattorie e villaggi posti sulle strade principali, è segnalata da vari interventi costruttivi nel pianoro di fronte alla rupe di Pitigliano.
1061, appare per la prima volta il toponimo Pitigliano in una bolla di Nicola II ai canonici di Sovana.
1188, in un altro documento, Pitigliano compare come castro (borgo fortificato) in possesso dei conti Aldobrandeschi, signori di tutta la Maremma, cui appartiene da poco dopo il Mille.
1274, Pitigliano risulta uno dei maggiori fortilizi della contea degli Aldobrandeschi nelle guerre con il Comune di Orvieto.
1313, gli Orsini subentrano per via matrimoniale agli Aldobrandeschi nella Contea di Sovana; costretti a lunghe lotte con i Comuni prima di Orvieto e poi di Siena, dopo la conquista da parte di quest’ultima di quasi tutta la Maremma, compresa Sovana nel 1410, gli Orsini spostano a Pitigliano la capitale della contea.
1466, la piccola contea ursinea acquista forza con l’avvento al potere di Niccolò III, capitano di ventura al servizio dei maggiori Stati italiani; con lui Pitigliano si arricchisce di monumenti rinascimentali, a cui lavorano artisti come Antonio da Sangallo, Baldassare Peruzzi, Anton Maria Lari.
1604, Ferdinando I, granduca di Toscana, acquista tutti i possedimenti degli Orsini: finisce così la contea di Pitigliano; dalla metà del secolo comincia a crescere il numero degli ebrei, che qui trovano rifugio sicuro; nel 1643 i Medici sventano un tentativo di occupazione da parte delle truppe pontificie.
1843, Pitigliano assume il titolo di città con il trasferimento della Diocesi da Sovana e grazie alla crescita economica seguita alle riforme illuministiche.

MUSEO DI PALAZZO ORSINI
www.palazzo-orsini-pitigliano.it

Il complesso sorse forse come antico convento religioso, quasi certamente tra l’XI e il XII secolo.
Acquistato dagli Aldobrandeschi, fu trasformato in Rocca aldobrandesca a metà del 1200, divenne la loro residenza, nonché sede istituzionale, di Pitigliano. La permanenza del potere degli Aldobrandeschi fu, però, relativamente breve, in quanto l’intera Contea di Sovana fu ereditata nel 1293 dagli Orsini, a seguito del matrimonio tra Romano Orsini e Anastasia Aldobrandeschi, ultima erede di quel ramo familiare. Il dominio degli Orsini si protrasse ininterrottamente fino al 1608, anno in cui ci fu la definitiva caduta politica della Contea degli Orsini e l’annessione di questi territori al Granducato di Toscana.
Proprio gli Orsini, incaricarono Antonio da Sangallo il Giovane per effettuare una serie di interventi di ristrutturazione che, oltre a fortificare ulteriormente le strutture preesistenti, diede un’impronta di eleganza all’intero complesso, introducendo i caratteristici elementi stilistici rinascimentali. Altri interventi erano stati effettuati, a suo tempo, anche da Baldassarre Peruzzi.

Proponiamo la visita guidata di ben 20 sale allestite all’interno dell’antica fortezza costruita a partire dal 1000; residenza Aldobrandesca prima e dei Conti Orsini poi. A metà ‘800 diviene sede definitiva del Vescovo di Sovana, anche se già da circa un secolo il Vescovo vi si era trasferito.
Sono visitabili le sale del piano nobile, con affreschi e decorazioni originali dei secoli XV-XVI. In particolare i saloni del piano terra appena restaurati (2012-2013), con affreschi raffiguranti il trionfo degli Orsini, lo zodiaco e gli stemmi nobiliari.
All’interno del Palazzo-Museo si possono ammirare tra le altre opere e oggetti:

– Statua della Madonna con Bambino a grandezza naturale di Jacopo della Quercia
– Statua lignea a grandezza naturale di Niccolò III Orsini, proveniente da Venezia (sec. XV)
– Dipinti su tela e su tavola (Zuccarelli, Aldi, e altri autori a partire dal sec. XIV)
– Croce astile del sec. XV, in argento e smalti
– Tabernacolo del sec. XV, in rame ottonato e cesellato
– Pinacoteca
– Sala delle torture
– Cassero
– Antico frantoio

PITIGLIANO – LA PICCOLA GERUSALEMME

Pitigliano, che ospitò gli ebrei forse fin dalla fine del Quattrocento, divenne per loro un importante centro di rifugio nell’Italia centrale, insieme ai vicini luoghi feudali, a seguito delle restrizioni dovute alle Bolle papali del 1555 e 1569 nello Stato Pontificio e ai provvedimenti del Granduca di Toscana del 1570 e 1571.
Infatti rimasero immuni alle restrizioni i piccoli feudi indipendenti al confine tra Toscana e Lazio, come la Contea di Pitigliano degli Orsini e quella di Santa Fiora degli Sforza e di Castellottieri degli Ottieri, oltre al Ducato di Castro dei Farnese. In questi piccoli staterelli si rifugiarono numerose famiglie di ebrei, che potevano qui vivere più liberamente ed esercitare le loro attività.
Anche a Pitigliano il gruppo ebraico si consolidò tanto da erigere un Tempio nel 1598.
Quando, ai primi del Seicento, i Medici aggregarono al Granducato di Toscana anche le piccole Contee nel confine meridionale, gli ebrei qui residenti furono confinati nei ghetti. Ma ben presto, rendendosi conto del loro notevole ruolo economico e commerciale, la condizione degli ebrei fu migliorata con la concessione di fondamentali privilegi personali. Nel frattempo, verso Pitigliano si indirizzò una lenta, ma costante immigrazione di ebrei dai centri vicini. Significativo è l’arrivo di ebrei dalla città di Castro, distrutta nel 1649 e di cui Pitigliano fu moralmente l’erede. Altri ebrei giunsero da Scansano, Castellottieri, Piancastagnaio, Proceno e poi nel settecento da Santa Fiora e Sorano.
Nella seconda metà del Settecento, la riforma illuministica dei Lorena, nuovi Granduchi di Toscana, permisero anche agli ebrei di accedere parzialmente alle cariche comunali. Così a Pitigliano gli ebrei ebbero i loro rappresentati nel Consiglio comunitario.
A Pitigliano, unica erede delle “città rifugio” del territorio, le favorevoli condizioni conservatesi per secoli resero possibile lo svilupparsi di eccezionali rapporti di convivenza e di tolleranza tra la popolazione ebraica e quella cristiana, tanto che la cittadina venne designata come la “piccola Gerusalemme”.
Lo straordinario rapporto tra cristiani ed ebrei fu definitivamente cementato da un singolare episodio del 1799, quando il popolo e i maggiorenti cristiani difesero gli israeliti dai soprusi dei militari antifrancesi, che volevano saccheggiare il Ghetto. A ricordo dell’accaduto, la Comunità ebraica istituì un’apposita cerimonia, celebrata ogni anno nella sinagoga fino a qualche decennio fa.
Pitigliano fornì rabbini a varie importanti comunità italiane e personaggi di levatura regionale al mondo ebraico, come i fratelli Flaminio e Ferruccio Servi, fondatori del “Vessillo Israelita”, primo giornale ebraico italiano, e Dante Lattes, una delle figure più forti e poliedriche dell’ebraismo italiano del Novecento.
Le mutate condizioni economiche e sociali determinarono nel Novecento una lenta, ma costante, emigrazione degli ebrei pitiglianesi verso città e centri più grandi, finché le leggi razziali e le persecuzioni dell’ultima Guerra Mondiale accelerarono la fine della Comunità, la cui ultima fiammella si spense con la chiusura della Sinagoga nel 1960.
Ma durante la guerra praticamente tutti gli ebrei residenti a Pitigliano si salvarono, grazie alla generosa protezione della popolazione locale, che offrì ospitalità, rifugio ed assistenza nonostante i rischi evidenti nel momento più buio della storia.
A Pitigliano quell’antico rapporto continua in altre forme; da restauro e conservazione dei monumenti ebraici (Sinagoga, forno degli azzimi, bagno rituale, cimitero, ecc..) alla scelta di produrre vino kasher nella Cantina Sociale Cooperativa di Pitigliano, alla fondazione dell’Associazione “La Piccola Gerusalemme”, che ha come fine la promozione di iniziative per la valorizzazione della storia di Pitigliano e della tradizione ebraica.